- Sentenza di condanna nei confronti dell’Asp da parte del Tribunale del lavoro di Siracusa
- Un medico avrebbe svolto mansioni superiori rispetto alla sua posizione contrattuale
- L’azienda sanitaria dovrà versare oltre 53 mila euro al medico
Il giudice del Tribunale del lavoro di Siracusa ha condannato l’Asp di Siracusa al pagamento di 53 mila e 566 mila euro nei confronti di un medico in servizio in unità operativa semplice del Siracusano.
La vertenza
Il procedimento è nato dopo la denuncia del medico, difeso dagli avvocati Salvo Andolina e Marco Tiralongo, che, secondo quanto emerso nella vertenza, avrebbe svolto mansioni superiori rispetto a quanto previsto dal suo contratto, a partire dal 24 gennaio del 2008 fino al dicembre del 2017 e solo dal gennaio del 2018 l’Asp avrebbe provveduto al riconoscimento economico.
La difesa dell’Asp
Nel corso del procedimento, l’Asp di Siracusa ha mosso le sue contestazioni, sostenendo che “non è mai stato
formalizzato alcun incarico dirigenziale, con atto valevole giuridicamente, che possa dare titolo al riconoscimento delle mansioni e al diritto alla retribuzione delle differenze salariali” si legge nel dispositivo della sentenza emessa dal Tribunale del lavoro di Siracusa.
L’Asp, secondo quanto indicato dal giudice, avrebbe riconosciuto che “vi erano state varie disposizioni di servizio con le quali veniva disposto che il medico si occupasse “provvisoriamente” di tutte le attività attinenti” al nuovo ruolo, precisando, però, che le “numerose disposizioni di servizio non costituiscono titolo ma hanno solo la funzione di assicurate l’espletamento dell’attività per far fronte all’esigenza in via temporanea”.
Il giudice
Una tesi, quella dell’Asp, non riconosciuta dal giudice del Tribunale del lavoro di Siracusa, per cui “le uniche ipotesi in cui può essere disconosciuto il diritto alla retribuzione superiore dovrebbero essere circoscritte ai casi in cui
l’espletamento di mansioni superiori sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente (invito o proibente domino) oppure allorquando sia il frutto della fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente” citando una sentenza della Corte di Cassazione.
Inoltre, secondo il giudice, “è evidente, pertanto, che nella vicenda in esame non vi siano ragioni per non riconoscere al ricorrente il diritto a percepire una retribuzione commisurata alle mansioni effettivamente svolte (dal gennaio 2008 al dicembre 2017; dal gennaio 2018 l’Asp ha cominciato a corrispondere le maggiorazioni retributive).”
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