Altissima tensione ieri al processo per il duplice omicidio del 1989 in cui morirono Nino Agostino e la moglie incinta Ida Castelluccio. Per quel delitto è stato condannato all’ergastolo col rito abbreviato, il boss Nino Madonia, dopo 32 anni. Al processo ordinario invece, che vede imputati il boss dei misteri Gaetano Scotto (considerato dai pm come trait d’union tra mafia e Servizi Segreti deviati) e Francesco Paolo Rizzuto (imputato per favoreggiamento aggravato) che all’epoca dei fatti aveva solo 16 anni ed è considerato dall’accusa il “palo” o “basista” amico di Nino che avrebbe aiutato la mafia. Ipotesi accusatoria ancora da dimostrare, dopo le nuove prove raccolte di recente dalla DIA.

Il processo di ieri

Sul banco dei testimoni, ieri, è stato chiamato il poliziotto in pensione Guido Paolilli, condannato di recente a risarcire la famiglia Agostino con circa 70mila euro, per il “debito di verità” di questi anni, ovvero per la presunta “distruzione di carte” all’interno dell’armadio del poliziotto ucciso nel 1989.

Agostino, infatti, era un cacciatore di latitanti che per conto del Sisde si era infiltrato negli ambienti mafiosi di vicolo Pipitone, all’Arenella. Il suo doppio gioco sarebbe stato scoperto e per questo punito dalla mafia. Secondo le ipotesi della procura, Agostino avrebbe smascherato infatti l’attentato all’Addaura, salvando il giudice Falcone; da qui il regolamento dei conti pochi mesi dopo, con l’uccisione a Villagrazia di Carini.

“Sento poco, sono un po’ sordo”

Ai primi di gennaio Paolilli era stato convocato a testimoniare insieme a Bruno Contrada. Entrambi però non si sono presentati adducendo motivi di salute. Oggi Paolilli – che si è dichiarato “un poco sordo” costringendo più volte le parti a ripetergli le domande – ha presentato documentazione in Aula. A causa delle difficoltà audio del teste più volte le parti hanno dovuto alzare la voce. Un clima singolare e quasi surreale.

Urla e alta tensione

Secondo Paolilli il delitto “era questione di ragazze”. Una versione che sembrerebbe sconfessare una sua stessa nota in cui definiva l’omicidio “a sfondo mafioso”. Da qui la domanda del pm Nico Gozzo che rappresenta l’accusa – e gli animi si sono accesi. Paolilli ha risposto così: “Omicidio a sfondo mafioso lo definisco in questo atto, ma fornii a suo tempo le varie piste. Mi sono espresso dicendo a un amico mio che mi ha crocifisso: ‘qui c’è la mafia, ma è questione di ragazze’. Perché Nino Agostino, che l’ho cresciuto io, si confidava più con me che con il padre. E Gesù Cristo mi deve castigare se io dico una fesseria! – ha detto Paolilli urlando al processo, rimproverato dalla Corte: ”No no no… Stia zitto un attimo e si limiti a rispondere alle domande. Punto. Chiaro? Senza fare proclami ed esternazioni. Lei è teste!”.

“Nino mi confidò che i parenti della sua ex erano mafiosi. Da qui la mia ipotesi investigativa sulle questioni di donne… Mi parlò di un villino in cui andava con la fidanzata, ossia la moglie successivamente, ma non sfuggiva alla vista di qualcuno, di una vecchia fidanzata, e questo io lo ho anche prospettato”.

Smentisce la versione di Contrada

Paolilli ha aggiunto: “Arrivo a Palermo su richiesta del Capo della Mobile Arnaldo La Barbera, il quale aveva avuto una sollecitazione dal padre di Nino, che vede là”, indicando polemicamente il signor Vincenzo, padre della vittima, presente in aula con la sua lunga barba bianca. Da 32 anni è in attesa di verità.

In oltre quattro ore di udienza Paolilli ha spiegato come arrivò a Palermo e presunte minacce ricevute: “Io lavoravo. Facevo arresti. Poi sono stato allontanato per motivi di sicurezza a causa di una telefonata al 113 in cui dicevano che mi avrebbero fatto un vestito di legno”, ha detto.

“Se conosco Bruno Contrada? Certo, è stato mio capo alla Mobile, un grande signore!”, ha detto Paolilli. Il pm Gozzo gli fa presente che Contrada ha detto che è stato lui stesso a proporsi di venire a Palermo. “NO! NO! – ha urlato Paolilli – non è la verità. È stato lui a chiamarmi!”, cioè – sostiene – il capo della Mobile, su richiesta del padre di Nino. Da qui il nuovo ammonimento del Presidente della Corte: “Paolilli, glielo dico per l’ultima volta, dopodiché ne trarrà le conseguenze: non assuma toni polemici”.

L’ex questore Longo “Dubbi su prime indagini di La Barbera, strano l’arrivo di Paolilli”

Alla scorsa udienza aveva deposto l’ex questore di Palermo Guido Longo, che ha ricordato le prime indagini che puntavano sulla pista passionale “sponsorizzata” da Arnaldo La Barbera, indicato processualmente come l’uomo al libro paga Sisde con nome in codice “Rutilius“. Guido Longo in Aula ha detto di non avere mai conosciuto Nino Agostino ma di avere manifestato all’allora capo della mobile La Barbera “perplessità sulla pista passionale, basata su informazioni frammentarie. Tuttavia la divergenza di vedute ci può stare in un organo di polizia giudiziaria”.

La sera del 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini – sul luogo del duplice omicidio – Longo ricorda la presenza di un poliziotto, cioè Paolilli: “Chiesi a La Barbera. Mi disse che era uno bravo, un ispettore in servizio a Pescara e inviato per dare una mano alle indagini. La cosa mi parve strana – ha detto in aula – la decisione di aggregarlo fu presa dal dirigente della Squadra mobile. La Barbera diceva che era uno bravo e che poteva dare una mano. Alle mie indagini non è stato di ausilio perché lui non lavorava con me”.

“Scritte una freca di cazzate”

Poco dopo una nuova contestazione a Paolilli sugli ultimi 6 mesi di attività di Agostino al Commissariato San Lorenzo (servizio scorta, piantonamento all’ospedale civico di Palermo e lavoro in sala d’ascolto delle intercettazioni) su cui nulla sapeva Paolilli. Ecco come risponde in Aula: “A me non risultano – ha detto – posso dire che sono state scritte un freca di cazzate. I giornalisti hanno scritto fesserie!”. Da qui un nuovo ammonimento del presidente della Corte.

Le accuse al padre di Nino

“Da Pescara non mi volevano mandare a Palermo. Allora La Barbera chiamò direttamente il Ministero, che a sua volta chiamò il questore. Il giorno dopo ebbi il biglietto aereo già pagato all’Aeroporto di Fiumicino, insieme a mia moglie”.

Vincenzo Agostino

Vincenzo Agostino

“Parlai col Dott. Contrada sommariamente di questi fatti. Andrò a prendermi il caffè a casa sua, come faccio sempre. Perché Arnaldo La Barbera mi chiamò a Palermo? Io ero un assistente-capo col fiuto investigativo. Al Dott. La Barbera lo chiese il signore là (indicando Vincenzo Agostino, ndr), questa è la verità. Perché aveva fiducia in me”.

Gli appunti scomparsi

Uno dei temi centrali della sua deposizione, ovviamente, la sparizione degli appunti di Nino Agostino dal suo armadio: “Lei sapeva che Agostino aveva degli appunti nel portafoglio?” ha chiesto Gozzo. “Sì, mi disse che era un po’ preoccupato e aveva degli appunti. Non so sé nel portafoglio, ma mi disse che aveva degli appunti”. “E lei sapeva che nel portafoglio c’era scritto andate a vedere nel mio armadio?” ha insistito il pm. “Questo lo sconosco”.

Eppure nel verbale del 21 luglio 2017 parlò dei “foglietti” che furono trovati da un collega: “Per quanto riguarda i foglietti – ha detto Paolilli spavaldamente – io non ho trovato questi foglietti. Sapevo che li aveva perché lui me lo ha detto. Non li ho trovati e non ho nemmeno firmato il verbale di sequestro. Era presente Flora, la sorella. Cosa avrei dovuto far sparire io? Il mago Zurlì?”.

Guido Paolilli

Guido Paolilli a Servizio Pubblico

Allora il pm Gozzo insiste passando alla famosa intercettazione del 2008 tra Paolilli e il figlio che parlano durante una trasmissione tv che affronta il caso Agostino: “Suo figlio – ha contestato il pm Gozzo – le chiede: ‘cosa c’era là dentro?’ Lei risponde… una freca di cose che proprio io ho pigliato e poi ho stracciato”.

Ma Paolilli ha negato urlando ripetutamente: “Eh no! Non esiste questo. Andate a sentire l’intercettazione, non si capisce niente. Dico che c’era una freca di cose da buttare e da bruciare. Ma io non ho buttato e bruciato!”. Animi incandescenti che portano il presidente a sospendere la seduta.

“Conoscevo Giovanni Aiello, Faccia da mostro”

Altro tema importante è stata la conoscenza che Paolilli avrebbe avuto di Giovanni Aiello, alias “Faccia da mostro”: “Lo conoscevo. Era stato alla mobile per un breve periodo, ma non avevamo contatti” ha detto.

Ma durante un incontro con un giornalista di Servizio Pubblico, Walter Molino, nel 2014 – ripreso da una telecamera nascosta, Paolilli disse: “Eh quello… qua lo dico… è un fango (un indegno, un farabutto, ndr). Si vendeva le informazioni alla mafia…”. Ma ieri ha detto che era solo uno “scambio di idee”; tuttavia, proprio dopo quella trasmissione di Santoro nel 2014 Paolilli telefonò a Bruno Contrada dicendogli apertamente: “Mi sono fatto infinocchiare da quel Walter Molino”.

Paolilli ha detto ieri: “Ho espresso questo giudizio che è uno zozzone, perché non si lava. Chi mi disse che Aiello forniva informazioni? Voci di corridoio. Avevo molti confidenti”.

Il rapporto con Bruno Contrada

Così ieri il pm Gozzo e l’avvocato Fabio Repici (legale della famiglia Agostino) gli hanno chiesto come mai sentì il bisogno di informare Contrada: “Era un amico, oltre che un capo. E gli devo rispetto. Con lui mi confidavo di tutto e spesso ci raccontavamo degli anni belli. La mia preoccupazione era di dire che mi sono fatto infinocchiare. Che ero stato un fesso”.

Sul perché si è dovuto giustificare con Contrada sull’argomento di Giovanni Aiello, ha aggiunto: “Non me lo ricordo. Non era nelle mie frequenze”.

Il processo è stato quindi rinviato al prossimo 8 febbraio quando dovrebbe salire a testimoniare, salvo imprevisti, l’ex numero tre del Sisde Bruno Contrada.

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