Il maxi blitz antimafia all’alba di oggi ad Agrigento conferma il connubio tra Cosa nostra e il clan dei “paracchi”. Circostanza emersa dall’indagine di carabinieri e Procura che ha portato a 10 misure cautelari, 5 delle quali in carcere, 4 ai domiciliari ed un obbligo di dimora. Inchiesta tornata utile soprattutto per ricostruire il mandamento di Favara e Palma di Montechiaro. Le accuse sono a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsione e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Sono state 23 le perquisizioni di cui 3 in carcere.

Il sistema criminale

I militari del nucleo investigativo del comando provinciale di Agrigento hanno condotto l’operazione “Condor”. E’ la naturale prosecuzione di un’altra operazione, “Xidy”, condotta dal Ros e che già nel febbraio 2021 aveva registrato una prima fase esecutiva. Le indagini, coordinate dalla Dda di Palermo, hanno consentito di capire quali fossero gli assetti mafiosi nel territorio di Favara ed in quello di Palma di Montechiaro. Quest’ultimo territorio caratterizzato, come accertato da sentenze definitive, dalla convivenza tra Cosa nostra e il clan “Paracchi” sul modello della stidda.

I videopoker e l’uva

Diversi gli aspetti venuti fuori dall’inchiesta. Uno degli indagati ha tentato di espandere la propria influenza al di là del territorio palmese, e segnatamente a Favara ed al Villaggio Mosè di Agrigento. Il ruolo di “garante” veniva esercitato dal vertice della famiglia di Palma a favore di un esponente della stidda. Il tutto al cospetto dell’allora reggente del mandamento di Canicattì. Secondo gli inquirenti c’era un controllo delle attività economiche. In particolare nel territorio di Palma di Montechiaro la criminalità aveva assoggettato a sé il settore degli apparecchi da gioco e delle mediazioni per la vendita dell’uva. In pratica si imponeva prezzi e distributori “autorizzati” dell’uva in accordo tra la famiglia mafiosa di Palma di Montechiaro e la ‘ndrina calabrese dei Barbaro di Platì.

L’immancabile racket

A Favara immancabile poi l’imposizione delle cosiddette “messe a posto” ad imprenditori operanti nel territorio. E chi non si piegava veniva colpito con danneggiamenti ed incendi dolosi. A venir fuori inoltre una parallela struttura associativa, con base a Palma di Montechiaro, che appunto metteva insieme paracchi e cosa nostra. Era diretta da soggetti indiziati di appartenere alla stidda, che gestivano il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti. Sarebbero diversi gli episodi di spaccio ricostruiti dai carabinieri.

Altre contestazioni

Ci sarebbero una serie di circostanze contestate. Un’estorsione ad un imprenditore, costretto ad astenersi dalla partecipazione ad un’asta giudiziaria finalizzata alla vendita di alcuni terreni. C’è anche la tentata estorsione ad un altro imprenditore operante nel settore della distribuzione e gestione di congegni e apparecchi elettronici. E poi un impianto di pesatura dell’uva i cui proventi sarebbero stati in parte destinati al mantenimento dei detenuti. Un’ulteriore estorsione ha riguardato un’impresa costretta ad assumere uno degli stessi indagati. Infine registrato un incendio ai danni del titolare di un’autodemolizione con deposito giudiziario.

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