Il 29 agosto del 1991 l’imprenditore Libero Grassi stava andando al lavoro. Era a capo dell’azienda tessile “Sigma”.
Alle sette e mezza del mattino, in una Palermo ancora avvolta dalla calura estiva, mentre a piedi si stava recando proprio in azienda, viene affrontato da un killer che gli scarica addosso 4 colpi di pistola uccidendolo. Cosa nostra in questo modo punirà chi, apertamente e pubblicamente, aveva avuto l’ardire di ribellarsi, di tentare di liberarsi dal cappio stretto attorno alle aziende siciliane. Libero Grassi si era infatti ribellato contro gli estorsori che gli chiedevano il pizzo.

La lettera del gennaio 1991

“Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia”. Era il 10 gennaio del 1991. L’imprenditore Libero Grassi, attraverso una lettera inviata al Giornale di Sicilia alzava la testa contro la mafia, ribellandosi apertamente alla violenza di Cosa nostra. Un atto rivoluzionario in una Sicilia in cui pochi imprenditori avevano il coraggio di denunciare il racket. Un coraggio che Grassi pagherà con la propria vita qualche mese dopo.

La commemorazione a Palermo

Tante le iniziative previste il 29 agosto a Palermo per ricordare Libero Grassi e la moglie Pina Maisano, che dopo la morte dell’imprenditore ha portato avanti gli insegnamenti e la memoria dell’uomo. Le iniziative sono organizzate dai parenti e da Addiopizzo.
Si inizierà alle 7.45 proprio in via Alfieri, dove ogni anno la famiglia Grassi affigge il manifesto che rievoca le condizioni di isolamento e solitudine in cui maturò il delitto. Perché Grassi fu lasciato solo, anche dai suoi colleghi e dalle associazioni di categoria.
Nella sede di Addiopizzo, in via Lincoln 131, alle 10, avrà inizio un confronto sul fenomeno estorsivo in città e provincia dal titolo “Le estorsioni a Palermo: chi paga e perché?”. Interverranno il procuratore facente funzioni, Marzia Sabella, il commissario straordinario del governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, Maria Grazia Nicolò, e il prefetto Giuseppe Forlani, oltre a Daniele Marannano e Raffaele Genova di Addiopizzo. Spazio anche alle testimonianze di alcune vittime che si sono opposte al pizzo, che saranno introdotte dall’avvocato dell’associazione, Salvo Caradonna. A moderare il dibattito sarà il giornalista Riccardo Arena.
Alle 15.30, alla Cala, la VII edizione di “Vela per l’inclusione sociale”, una veleggiata in barche d’altura con i bambini del quartiere Kalsa e gli educatori di Addiopizzo, la Lega navale italiana e Alfredo Chiodi, nipote di Libero Grassi.
In serata, alle 19.30, al Nautoscopio, sarà inaugurata la mostra fotografica “Libero e Pina Grassi, tra famiglia, lavoro e impegno civile”. All’evento, moderato dalla giornalista Elvira Terranova, interverranno i figli di Libero Grassi, Davide e Alice, il presidente del tribunale di Palermo, Antonio Balsamo e nuovamente il commissario antiracket, Maria Grazia Nicolò.

Chi era Libero Grassi

Libero Grassi fu un martire laico nella lotta civile e imprenditoriale alle mafie. Nato a Catania nel 1924 in una famiglia antifascista (il suo nome è esso stesso un tributo a Giacomo Matteotti), a 8 anni si trasferisce a Palermo. Studierà tra Palermo e Roma, sognerà di diventare diplomatico ma asseconderà il volere del padre commerciante. Si forma a Gallarate, nel profondo nord industriale; formazione che gli permetterà di tornare in Sicilia e aprire uno stabilimento tessile. Libero Grassi non era un semplice imprenditore tutto “fabbrica e lavoro”, è stato un grande attivista civile, impegnato nella politica dapprima avvicinandosi ai Radicali poi al Partito Repubblicano.
Ma il suo più grande impegno è nella lotta alla mafia da imprenditore, attraverso un gesto che a quel tempo appariva rivoluzionario: rifiutarsi di pagare il pizzo, obiettando con un secco no alle telefonate del fantomatico “geometra Anzalone”. “Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere. Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al ‘Geometra Anzalone’ e diremo no a tutti quelli come lui”. Scriverà nella missiva indirizzata al Giornale di Sicilia. Preziosa la sua collaborazione per individuare gli estorsori, i fratelli Avitabile, temibili esattori della famiglia Madonia di Resuttana. Grassi denunciò il suo isolamento; dopo la lettera si sentì solo.
Autori e mandanti dell’omicidio furono poi individuati; a premere il grilletto Salvino Madonia, figlio del boss di Resuttana, ma il via libera al suo omicidio fu deliberato dall’intera Cupola.
La sua morte, come accaduto altre volte in Sicilia con il sacrificio di altri eroi civili, contribuì a dotare l’Italia di uno strumento a favore degli imprenditori coraggiosi; nello specifico al varo del decreto che porta alla legge anti-racket 172, con l’istituzione di un fondo di solidarietà per le vittime di estorsione. Un sacrificio che non è risultato vano, una morte che ha scosso le coscienze e convinto molti imprenditori allora come oggi, a denunciare il pizzo.

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