• Mafia a Palermo 16 fermati ieri nell’operazione congiunta di polizia e carabinieri
  • Colpo decisivo al mandamento di Ciaculli, Roccella e Brancaccio
  • I fermati impegnati nel racket delle estorsioni
  • Il Covid19 ha messo in difficoltà anche la mafia: gli estorsori hanno avuto difficoltà a incassare il pizzo

Carabinieri e polizia di Stato hanno dato ieri un colpo decisivo al mandamento mafioso di Ciaculli, Roccella e Brancaccio. Coordinati dalla Dda di Palermo nel corso della notte hanno dato esecuzione e 16 fermi nei confronti di altrettanti indagati accusati di associazione di tipo mafioso ed estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Anche la mafia piegata dal lockdown

Il difficile periodo della crisi economica da Covid19 e del lockdown ha avuto ripercussioni anche sulle organizzazioni criminali. Lo racconta Rodolfo Ruperti, Capo della Squadra mobile di Palermo.
“Nel territorio – dice – interessato dai fermi, e tristemente noto a Palermo, gli interessi mafiosi erano stati riorganizzati secondo vecchie regole e vecchi criteri. La riorganizzazione mafiosa, tuttavia, così come l’intera società civile, è stata attraversata dalle difficoltà del lockdown. I mafiosi, sempre alla ricerca del consenso sociale, hanno avuto grosse difficoltà nella riscossione delle estorsioni, perché le attività commerciali erano chiuse o comunque i negozianti non potevano pagare”.

Una cinquantina gli episodi estorsivi documentati

L’associazione criminale smantellata ieri otteneva i maggiori introiti proprio dalle richieste estorsive.
Tuttavia, riuscire ad incassare il del pizzo, pagato dai commercianti, non era facile.
“I fermati – aggiunge Ruperti – nelle intercettazioni, si vantano di appartenere ad una delle poche organizzazioni mafiose che ancora riusciva a sostenere i detenuti. Le attività commerciali venivano vessate continuamente, c’era un vero e proprio pattugliamento del territorio alla ricerca di quelle che potevano pagare il pizzo”.

Una macchinetta del caffè al posto del pizzo

In una precisa circostanza, riferita ancora dal Capo della Squadra mobile di Palermo, gli esattori del pizzo hanno dovuto ‘accontentarsi’. “Si sono recati in una attività commerciale – aggiunge – in crisi come tutte quelle che erano rimaste aperte in quel periodo. Non potendo riscuotere denaro hanno preso e portato via una macchinetta del caffè. La stessa è stata ritrovata a casa di uno dei 16 fermati. Dentro era stata nascosta una pistola con il colpo in canna”.

Gli estorsori “meno brutali” di un tempo

Sempre alla ricerca del consenso nel territorio di azione, e in grosse difficoltà, gli estorsori temevano le denunce dei commercianti alle forze dell’ordine. “Per questo motivo – spiega ancora Ruperti – hanno cercato, ancora durante il lockdown, di non essere troppo pervasivi. Nella logica del consenso, c’era una forma di selezione dell’estorsore. Pur vessando le attività, si presentavano ai negozianti secondo dei criteri diversi, che non dovevano essere quelli della prepotenza e della minaccia. Hanno in qualche modo cercato di non essere brutali”.
Quando le attività commerciali sono ‘ripartite’, con un minimo di ripresa, le richieste estorsive sono arrivate immediatamente, insistentemente.

La manifestazione per Falcone e Borsellino negata ad una bambina

“Noi non ci immischiamo con Falcone e Borsellino. Non ti permettere. Io mai gliel’ho mandato mio figlio a queste cose… vergogna”, gridò Maurizio Di Fede, uno dei fermati di ieri, ad una amica che aveva mandato la figlia a una manifestazione in ricordo della strage di Capaci. La storia, che risale al maggio di tre anni fa, emerge dagli atti dell’indagine.
Conclude Ruperti: “Le organizzazioni mafiose, ribadisco, sono sempre alla ricerca del consenso. Partecipare ad una manifestazione in ricordo delle vittime delle stragi del ’92 è una forma di riconoscimento della loro opera”.
Un riconoscimento che la mafia non tollera.

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