Il gup del Tribunale di Catania ha disposto il rinvio a giudizio nei confronti dei presunti esponenti del clan Trigila di Noto, con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Tutti quanti incapparono, nel maggio dello scorso anno, nell’operazione antimafia, coordinata dai magistrati della Dda di Catania, denominata Robin Hood, conclusa con 13 misure cautelari.
Due condanne in abbreviato
Due di questi, Salvatore Porzio, 37 anni, e Giuseppe Trigila, 44 anni (difesi dagli avvocati Giuseppe Gurrieri e Francesco Antille), sono stati già condannati al termine del processo con il rito abbreviato.
Il primo ad 8 anni a 4 mesi di reclusione, per associazione a delinquere di stampo mafioso, il secondo a 10 anni di carcere, anch’esso con l’accusa di associazione a delinquere ma anche di tentata estorsione ma è stato assolto da traffico di droga.
I nomi di chi andrà a processo
Gli altri indagati, alcuni dei quali difesi dall’avvocato Natale Vaccarisi, si sottoporranno al giudizio ordinario e si presenteranno il 14 luglio prossimo al palazzo di giustizia di Siracusa.
Rosario Agosta, Nunziatina Bianca; Marcello Boscarino; Giuseppe Caruso, detto Caliddu; Giuseppe Crispino; Francesco De Grande; Emanuele Eroe; Angelo Monaco; Angela Trigila; Giuseppe Pino Pinnintula, indicato come il boss del clan, Giuseppe Trigila, 48 anni, omonimo del condannato,
L’inchiesta
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, il clan Trigila avrebbe acquisito una posizione dominante in alcuni settori economici, tra cui il trasporto su gomma di prodotti orto-frutticoli, la produzione di pedane, imballaggi e prodotti caseari, alterando, così, le regole della concorrenza.
Il ruolo del boss
Per gli inquirenti, sarebbe stato il boss di Noto, Antonio Giuseppe Trigila ad impartire gli ordini dal carcere. Grazie ai colloqui coi familiari, avrebbe inviato i compiti agli esponenti della sua cosca per il controllo delle attività illecite emerse nelle indagini dei magistrati della Procura distrettuale antimafia di Catania.
Il reggente
Secondo l’accusa, Giuseppe Crispino sarebbe stato il reggente della cosca, a cui sarebbe stata affidata “la raccolta dei proventi illeciti necessari al sostentamento dell’associazione, il pagamento degli stipendi alle famiglie dei sodali detenuti, la detenzione delle armi e la conduzione delle attività delittuose più delicate quali le estorsioni e il traffico di sostanze stupefacenti” spiegano gli inquirenti.
Crispino venne arrestato 3 anni prima dell’operazione Robin Hood perché trovato in possesso di circa 650 grammi di cocaina e di 4 pistole.
Il ruolo del “Caliddu”
Un altro uomo chiave, nella tesi dei magistrati della Procura distrettuale antimafia, sarebbe stato Giuseppe Caruso, detto, u Caliddu, colui che avrebbe avuto i contatti con le aziende di autotrasporti che operavano nella zona sud della provincia e in quella della limitrofa Ragusa. Avrebbe avuto il compito di raccogliere i versamenti di denaro imposti agli operatori del settore per poter lavorare senza incorrere in problemi.
Le intercettazioni
In una intercettazione, gli inquirenti avrebbero scoperto le minacce agli autotrasportatori
“Ma chi ve l’ha data questa autorizzazione” – “ io sto prendendo i bins e gli sto dando fuoco ora stesso, subito. E qua non ci deve entrare nessuno, se prima non ve lo dico io, perché il padrone (…) sono io”).
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