Otto condanne definitive per quelli che sono stati considerati gli affiliati al clan mafioso di Santa Maria di Gesù di Palermo. Per altri 5 imputati invece processo da rifare in appello. Così si è pronunciata la Cassazione nei confronti degli imputati finiti alla sbarra in seguito all’operazione antimafia “Brasca” del 2016 in cui si riuscì a sgominare un intreccio di interessi fra due cosche, quelle di Monreale-San Giuseppe Jato e di Santa Maria di Gesù di Palermo.

Le condanne definitive

La cassazione ha condannato Antonino Gioacchino Capizzi a 8 anni e 8 mesi, Mario Taormina a 8 anni e mezzo, Giovanni Messina e 6 anni e 10 mesi, Andrea Di Matteo, Santi Pullarà e Fabrizio Gambino a 6 anni, Alfredo Giordano e 4 anni e 8 mesi, già direttore di sala del Teatro Massimo di Palermo e Antonino Carletto a 2 anni 8 mesi.

Gli imputati che tornano in appello

A tornare invece in appello, perché la cassazione ha rinviato tutti gli atti processuali chiedendo una revisione della sentenza di secondo grado, sono Antonino Pipitone che aveva avuto a suo tempo una condanna a 14 anni e 2 mesi, Vincenzo Adelfio (9 anni e 4 mesi), Antonio Adelfio (7 anni e 4 mesi), Francesco Di Marco (6 anni e mezzo) e Gaetano Di Marco (6 anni e 4 mesi).

L’operazione originaria

Questi 13 imputati furono tra i 62 indagati complessivi dell’operazione antimafia Brasca: le accuse a vario titolo erano di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, ricettazione, favoreggiamento e reati in materia di armi aggravati dal metodo mafioso. Il blitz nasce da due diverse indagini, coordinate dalla Dda di Palermo e sviluppate dal Ros e dal gruppo carabinieri di Monreale, sui ‘mandamenti’ di Villagrazia-Santa Maria di Gesù e San Giuseppe Jato. Le attività investigative hanno permesso di ricostruire l’organigramma dei clan, i nuovi vertici e i rapporti con i boss dei mandamenti vicini. L’inchiesta, inoltre, svelò numerosi episodi di estorsione, intimidazioni e danneggiamenti.