Rischiavano fino a 15 anni di galera per vilipendio al Presidente della Repubblica. Ieri il Gup del Tribunale di Palermo, Giuliano Castiglia, ha condannato due autori delle minacce e degli insulti rivolti sui social al Capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel giugno 2018. All’epoca si scatenarono gli “haters” (odiatori, ndr), i cosiddetti “leoni da tastiera“, con frasi minacciose e offensive sui social dopo la decisione del Quirinale di affidare l’incarico per la formazione del nuovo Governo a Carlo Cottarelli. Qualcuno su Facebook e Twitter accusò il Quirinale di voler sovvertire l’esito del voto popolare (Elezioni politiche del marzo 2018), che aveva premiato soprattutto due partiti: M5S e Lega, che poi effettivamente formarono il nuovo governo.

Gli insulti sui social

Nel registro degli indagati finirono subito Manlio Cassarà, palermitano, che aveva pubblicato “hanno ucciso il fratello sbagliato“, riferendosi all’omicidio di Piersanti Mattarella, fratello del capo dello Stato, assassinato dalla mafia nel 1980, Michele Calabrese, autore di un post analogo, e Eloisa Zanrosso col “ti hanno ammazzato il fratello, non ti basta?“.

Sono 39 i profili Facebook finiti sotto inchiesta. I pm titolari dell’inchiesta, l’aggiunto Marzia Sabella e il sostituto Gery Ferrara, ipotizzavano il reato di attentato alla libertà del presidente della Repubblica, offesa all’onore a e al prestigio del presidente della Repubblica, puniti fino a 15 anni di reclusione.

Le condanne

Ieri sono arrivate le condanne, col rito abbreviato e dunque con lo sconto di pena di un terzo: 1 anno al palermitano Manlio Cassarà, che dopo avere scritto che avevano ucciso il Mattarella sbagliato si era reso conto della castroneria e aveva provato a scusarsi; 1 anno e 4 mesi al milanese Davide Palotti, che aveva postato una foto del presidente a testa in giù, accostandolo a Benito Mussolini.

“Sono cadute l’istigazione a delinquere e l’attentato alla libertà del presidente, leso invece nell’onore e nel prestigio dal comportamento irresponsabile e irriguardoso dei due imputati”, riporta oggi il Giornale di Sicilia in edicola.

Adesso i difensori dei condannati proveranno a ribaltare la decisione in appello, “puntando soprattutto sull’elemento psicologico del reato, per la loro sostanziale incapacità di valutare le conseguenze di comportamenti indotti dal fenomeno social, più che da una precisa volontà e coscienza di attaccare il Colle”.