Giovanni Pizzo
Ex assessore della Regione Siciliana, scrivo su vari quotidiani. Laureato in economia e commercio
Sicilia, Assemblea regionale, giovedì 9 ottobre, San Dionigi patrono di Parigi, va in scena la crasi di governo. Perché più che crisi questa in Sicilia assume la forma della crasi, della mescolanza tra umori del sangue, soprattutto della bile. Covava da tempo, sia nei partiti sia in singoli deputati di maggioranza il malumore, gli avvertimenti erano già stati evidenziati prima della pausa estiva, e molte delle norme governative non votate l’altra volta sono state sonoramente bocciate l’altro giorno, trasformando una seduta d’aula in una Caporetto della maggioranza Schifani.
Ma è successo di più dei semplici franchi tiratori che sono stati moltissimi. Si è plasticamente divisa, fratturata, quindi non nel segreto dell’urna, ma nell’evidenza dei corpi, la maggioranza in due tronconi, di cui una parte è uscita da Sala d’Ercole e l’altra è rimasta in aula. Da una parte l’asse Sammartino-Cuffaro, ormai corpus unico, dall’altra i meloniani e gli autonomisti, che pur con ragioni differenti hanno antagonisti comuni. In mezzo Forza Italia, divisa anch’essa tra governisti e malpancisti.
Gli antagonisti di maggioranza si sentono soci di minoranza di questo governo, ritengono che Schifani sia un prigioniero di Zenda del duo Cuffaro-Sammartino, suggeritori instancabili, che dopo l’estate ha reso palese l’alleanza politico formale che era evidente da tempo. Lombardo da tempo lamentava l’accerchiamento, da quando aveva ricevuto un solo assessorato, per di più commissariato dalle emergenze riguardanti acqua e rifiuti. Ma il fatto nuovo è che in Sicilia c’è un plenipotenziario di Fratelli d’Italia, mandato da via della Scrofa, al posto di due coordinatori che divisi per aree geografiche non contavano molto nel continuo divide et impera isolano, e questo ha fatto la differenza. La crisi non è stata formalizzata in quanto in Sicilia non c’è il voto di fiducia come nel Parlamento nazionale, né alla fine FdI ha ritirato la delegazione al governo per un appoggio esterno. Schifani ha sempre rifiutato di andare ad un riequilibrio, cioè un rimpasto, perché si sa come ci entri ma non si sa come ne esci. Ma che un riequilibrio diventi necessario sembra ineludibile, se le lamentele provengono tutte su questo.
In particolare sulla gestione della Sanità, affidata da inizio legislatura a tecnici, anche se di chiaro segno politico. Cosa che non ha impedito purtroppo la tragedia consumata in settimana del decesso della professoressa Gallo, che aveva denunciato il ritardo mostruoso degli esami istologici all’Asp di Trapani. Le crisi di governo si dovrebbero orientare a risolvere più concretamente ritardi e carenze di servizi, soprattutto sui Lea che non ci vedono ben messi, ma sappiamo bene che si occupano invece del controllo delle postazioni di potere. Schifani ad oggi non sembra che voglia andare ad un azzeramento delle deleghe, ma che forse sarebbe l’unica soluzione per richiamare tutti i contendenti all’ordine. Tra l’altro questa crisi è molto seguita da Roma mentre le altre regioni sono al voto, e questo non faciliterà un quadro di soluzioni a breve. Certamente però il governo non potrà affrontare la prossima finanziaria in un parlamento ormai campo minato ucraino.
Qualunque soluzione lascerà qualcuno scontento, cosa che influirà anche sugli accordi possibili, o meno, della prossima legislatura. Nessuno si fida più di nessuno, le frasi esemplari di questa crisi sono: “Rimango attonito dalla grettezza sociale dimostrata” e “Io ho la coscienza a posto. L’avevo detto”. Sembra chiaro il duello ed i duellanti in campo.
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